Quello della foto
Lo so, non sono per niente costante e non vedo un motivo per cui dovreste continuare a seguirmi.
Manca un mese esatto al mio compleanno.
E io odio il mio compleanno.
Da sempre.
Da quando ero ragazzino e mi ritrovavo a festeggiarlo praticamente da solo, perché tutti i miei amichetti e le mie amichette erano già partiti per le vacanze, oppure con degli sconosciuti incontrati qualche giorno prima nel luogo di villeggiatura e che stavo appena imparando a conoscere.
Sono stati mesi complessi, questi ultimi: ho lavorato tantissimo, viaggiato molto e scritto pochissimo.
Non che non c’abbia provato, eh.
La dashboard di questa newsletter è piena di capitoli cominciati e mai conclusi, lo specchio perfetto del mio rapporto con la scrittura ogni volta che ho provato a fare qualcosa di ambizioso. La mia vita è un hard disk pieno di romanzi abortiti, saggi solo pensati e opere incompiute.
Sarà che ho sempre avuto un grande problema con la fine.
L’incapacità di accettare la naturale conclusione delle cose, o di accelerarne il processo. Se non fosse un’espressione abusata nei canali Twitch dedicati al calcio direi che nella mia vita sono sempre stato più affascinato dal percorso che dal risultato. La mia esistenza si basa tutta sulla scintilla che accende la bomba e non tanto sull’esplosione. Ed è forse per questo che odio il mio compleanno, perché tecnicamente è una finale di stagione, la celebrazione di una conclusione e non tanto di una ripartenza. Un altro anno, un altro mese, un altro giorno e un altro minuto strappati alla vita.
Per qualche mese ho avuto un periodo da sans-papier, nel senso che per tutta una serie di faccende che non sto qui a raccontarvi mi sono ritrovato con tutti i documenti - e quando dico tutti, non scherzo - scaduti. E dato che le sfighe non vengono mai da sole, sono precipitato in un gorgo burocratico infinito per cui sembrava impossibile riuscire a riaverli in tempo per le mille cose che dovevo fare.
Ero come in quella puntata dei Griffin in cui Peter ha un tema musicale personale che lo accompagna in tutte le azioni che compie. Ecco, in quel periodo tutto quello che mi accadeva era sottolineato nella mia testa da Clandestino di Manu Chao.
Con io che accompagnato solo dal mio dolore, e dalle tante bestemmie, attraversavo quella grande babylon chiama Roma Capitale in cerca di risolvere un problema che in quel momento sembrava irrisolvibile.
Tutto questo enorme cappello introduttivo solo per dire che sono stato costretto a farmi le foto in formato tessera e quando le ho viste ho provato una sensazione stranissima. C’ero io e c’era quello dello foto.
Come se fossimo due persone diverse. Come se la mia immagine esteriore avesse il compito di ricordarmi che importa poco come mi sento e vale molto di più quello che sono. E quello che sono è un tizio che ha compiuto quarant’anni nell’estate del 2019 e per una volta ha pensato bene di trasgredire alle sue regole e dare una festa.
Una bella festa.
Al punto che mi sono convinto che sia stato il mio non deprimermi nel giorno del quarantesimo a causare l’epidemia di COVID 19 che ha frantumato le nostre vite negli ultimi tre anni. Ecco, forse è arrivato il momento di ammetterlo: è stata tutta colpa mia. Da quella cazzo di festa è successo di tutto: mi sono ammalato, sono stato operato, mi è spuntata una malattia auto-immune devastante e poi è arrivato il cazzo di virus. In pratica io che non avevo per niente paura dell’entrata negli "anta”, mi sono ritrovato a scontarli con gli interessi.
In quella foto tessera è come se fosse impresso il volto di un’altra persona.
Quello che non sono io, per dirla come De Gregori. O forse quello che non voglio accettare di essere diventato.
Fra un mese esatto compio quarantaquattro anni. Eppure è come se gli ultimi tre siano passati così, in un soffio, in attesa di qualcosa che doveva ripartire e di cui stavo aspettando l’arrivo senza capire bene di cosa si trattasse.
Poi l’ho capito. E mi sono ritrovato vecchio prima ancora di accettare completamente di essere un adulto.
Cari amiche, cari amici e carx amix che leggete questa newsletter, probabilmente lo fate perché vi piacciono queste confessioni di una mente parecchio impicciata, ma forse pure perché vi aspettate delle cosette di musica.
Per non deludervi ve le metto qui:
Gli LCD Soundsystem che fanno Seconds degli Human League dal vivo a Chicago e con Bob Weston degli Shellac al basso. Ovvero la summa di tutto quello che mi piace della musica: un'ottima canzone pop, una band che ti fa muovere il culo e un’icona assoluta dell’indie-underground americano. È tutto qui.
Io sono tutto qui. O quasi.
È un mesetto che ascolto con attenzione il nuovo album di Clark, ma credo di averlo cominciato ad amare davvero solo l’altra notte. Quando l’ho usato come colonna sonora di un viaggio andata e ritorno in bicicletta tra il Pigneto e il centro di Roma.
Inutile dirvi quanto è bello sentire il vento in faccia attraversando una città per una volta libera di macchine, guardarsi intorno e pensare: “Ma quanto cazzo è bello questo posto”, che magari per voi che non ci state è una cosa scontata, ma noi che siamo immersi ogni secondo tra i mille cazzi di questa città spesso ci dimentichiamo che c’è qualcosa che va oltre la monnezza che riempie i marciapiedi e quella cosa è il fatto che Roma sa sempre come sorprenderti e ricordarti del perché la ami.
La città la fanno le persone che la abitano, ma Roma invece ti ricorda sempre che mentre tu arrivi, passi e te ne vai, lei sarà sempre lì e sarà sempre “più” di te.
Ecco, questo disco di Clark per me è Roma di notte, d’estate, adesso.
La dai per scontata, ma poi ti inchioda per quanto è bella e mai davvero tua.
Nel disco di Clark è presente in più di qualche pezzo (anche se ufficialmente è accreditato solo in uno) Thom Yorke. Ultimamente il signorino ha preso il controllo di NTS e ha messo insieme due ore di musica molto varia.
Si ascolta qui.
Sempre su NTS, se siete esploratori curiosi del suono apprezzerete questo bel nastrone di musica devozionale polinesiana.
Io l’ho fatto e ve lo consiglio.
Dall’ultima volta che vi ho scritto, sono trascorse almeno di altre tre puntate di Hex Enduction Hour, lo show mensile che tengo per Radio Raheem e in cui mi diverto a passare musica mattarella in una veste più da dj.
Le trovate tutte qui.
Se poi siete parte di quelle persone che non si stufano ancora a sentirmi parlare di musica c’è sempre PVC, il podcast in cui io e Daniele Manusia ci becchiamo a casa di uno o dell’altro portandoci dietro un disco a testa e discutendone insieme.
Ieri è uscita l’ultima puntata.
Ve la metto qui sotto. Ma la trovate anche su Spreaker e Apple Podcast.
Sempre a proposito di PVC abbiamo preparato una playlist con dentro non solo i dischi di cui parliamo durante le puntate, ma pure quelli che nominiamo di sfuggita.
Al momento è solo su Spotify, poi chissà.
Come sempre grazie per avere retto fino a qui.
Non vi prometto di tornare a breve, ma che tornerò è sicuro.
Quindi ci si becca qua o da qualche parte in giro.
Cia’.
Questo post è una piccola perla, dovresti continuare a provare a scrivere qualcosa di così intimo come adesso ❤️