Parlare delle malattie in pubblico
Ciao, sono la Pimpa e d'altronde mio padre si chiama Armando
(La foto non c’entra una mazza, ma mi faceva ridere)
In questi giorni anche io - come tanti - sono rimasto colpito dalle storie Instagram di Fedez e dal fatto che lui abbia scelto di utilizzare quel mezzo per annunciare al suo pubblico la scoperta di una malattia (senza, ovviamente e giustamente, rivelare per il momento di cosa si tratta).
Di Fedez si possono dire tantissime cose, ma di sicuro non che non sappia alla perfezione cosa implica una scelta del genere su un mezzo di comunicazione di quel tipo. E più del dibattito sul fatto che sia più o meno giusto o sbagliato aprirsi al pubblico in questo modo, ho trovato più interessanti le riflessioni riguardo la scelta di non avere alcun mediatore a interferire in quella che per lui doveva essere una comunicazione diretta con il suo pubblico ma anche con la stampa.
Parlare delle malattie è sempre complicato.
E non esiste una regola precisa.
Non esiste una cosa giusta da fare e una da non fare.
Ho avuto amici e persone vicine che hanno deciso di affrontare il loro percorso nel silenzio più totale e altri che hanno avuto bisogno di condividere il più possibile quello che gli stava accadendo. A volte è andata bene, altre volte è andata male.
D’altronde, se la vita è un piano inclinato è implicito anche il fatto che non sia tu a poter determinare quello che accade.
Se c’è una cosa che mi ha colpito degli ultimi due anni di pandemia è proprio come sia passata la narrazione, imposta soprattutto dai media, che cose come la vita e la morte possano essere controllate e determinate da comportamenti più o meno virtuosi.
Ma vivere di base è quasi come avere l’Alzheimer: puoi rallentare il processo, ma non puoi fermarlo. E anche la fine è una parte importante del percorso, se non proprio la parte principale. E non dico che non si debba averne paura - io ne ho una paura fottuta - o che si debba per forza abbracciare il fatalismo (non credo di essere neanche quella cosa lì), ma sapere che può succedere e accettare il fatto che possa succedere è forse il patto più importante che firmiamo diventando adulti.
Adesso scriverò delle cose che vorrei che venissero lette nel modo giusto: non è una richiesta di aiuto, non cerco abbracci o consolazione, ma è semplicemente una cosa che voglio raccontare perché sento il bisogno di farlo (e in parte in questi anni e in questa newsletter l’ho già fatto). Messaggio diretto principalmente ai miei familiari che leggono questa newsletter: È TUTTO OK. STO BENE. NON ALLARMATEVI. NON MANDATEMI MESSAGGI. MA SOPRATTUTTO NON CHIAMATE I MIEI.
OK? D’ACCORDO? ED EVITATE DI PALESARVI SE SIETE NO VAX/COMPLOTTISTI AVVELENATI.
E scusate il caps lock.
Io non so cosa farei se mi ammalassi di una cosa grave, non so se lo direi a tutti o lo terrei per me. Fortunatamente la vita non mi ha ancora messo di fronte a una cosa del genere, anche se ogni tanto si dimentica di essere tenera (ma pure io spesso mi sono dimenticato di essere tenero con lei, quindi siamo pari).
Più di due anni fa, mentre mi trovavo ad Ancona ospite di un festival musicale - sì, c’erano ancora i festival musicali con la gente in piedi e tutto - ho cominciato a provare la sensazione di avere dentro il naso una biglia gigantesca che spingeva per uscire. Ho provato a soffiarmi il naso ma non c’era niente da fare.
La biglia era sempre lì e io non riuscivo a smettere di provare a sbatterla fuori.
Mi sono soffiato il naso per talmente tanto tempo e tanto forte che alla fine ho preso a sanguinare.
Io ho un rapporto strano con i medici: sono ipocondriaco, ma cerco sempre di parlare il meno possibile coi dottori. Perché mi caco sotto. E perché mi sono fissato con questa teoria: se vai a farti curare una cosa, di sicuro te ne scopriranno un’altra.
E non è una fissazione basata sul nulla, eh. Ho proprio le prove.
Anni e anni di prove.
E infatti pure quella volta è andata così: sono andato dal medico, è venuto fuori che avevo due masse - la “biglia” - nei seni mascellari e che avrei dovuto fare un piccolo intervento di routine per rimuoverle, capire se erano dannose e - dato che già c’ero - approfittarne per farmi togliere anche i turbinati così la smetto di russare e rovinare la vita a chi ha la sfiga di dormire con me (spoiler: russo lo stesso, mortacci loro).
Comunque a gennaio del 2020 ho fatto quest’intervento.
Non è andato liscissimo, sono dovuto restare in ospedale per qualche giorno in più rispetto al previsto, ma poi sono uscito.
Mi avevano prescritto un mesetto e poco più di convalescenza, del tipo che a fine febbraio avrei potuto ricominciare a fare la mia vita normale.
Fine febbraio del 2020. And isn't it ironic, don't you think?
Durante questo mese di convalescenza ho continuato a prendere le medicine che i medici che mi avevano in cura mi avevano assegnato, tra cui tre dosi giornaliere di antibiotici da moltiplicare per 15 giorni. Io ho sempre avuto problemi con gli antibiotici, sono allergico a una tipologia specifica e tutto questo è sempre stato segnalato con cura ai dottori che si occupavano di me. Per cui quando il mio corpo ha cominciato a riempirsi di puntini rossi (prima la schiena, poi il petto, poi le braccia, le mani, le gambe), ho subito pensato che fosse colpa degli antibiotici. Ho sempre sofferto di una forma di psoriasi abbastanza gestibile al cuoio capelluto e al volto, d’altronde io nello stress mi immergo nel modo in cui le signore anziane lo fanno nelle piscine termali, ma questo morbo che mi rendeva a pois senza trasformarmi in una zebra mi era del tutto inedito.
Sono andato alla visita di controllo, la seconda da quando mi avevano operato ma la prima con il chirurgo che aveva fisicamente svolto l’intervento, e ho raccontato quello che mi stava succedendo, indicando direttamente gli antibiotici come parte del problema. A quel punto però è successa una cosa strana, il medico si è rivolto a uno dei suoi assistenti e ha esclamato: “Ma chi è che gli ha segnato tutti sti antibiotici?”, e a me è venuto spontaneo indicare l’autore della prescrizione che - come se nulla fosse - ha detto davanti al suo “capo” di non avere mai fatto niente del genere.
Lo ammetto, ho perso la testa. Sono uscito come una furia dalla stanza, ho recuperato la prescrizione e l’ho letteralmente scaraventata in faccia al chirurgo.
E allora mi hanno chiesto di uscire. E poi si sono messi a urlare tra di loro.
Cioè il chirurgo urlava e gli altri stavano zitti.
Soprattutto quello stronzo aveva negato di avermi dato tutti quelli antibiotici.
E qui c’è una cosa divertente a cui non avevo dato importanza: poco prima dell’intervento, avevo consegnato al suddetto dottore il referto della TAC con il DVD contenente le immagini della risonanza. Il dottore mi aveva riconsegnato ma non il DVD, e quando sono andato a farmi ricoverare mi ha sgridato davanti a tutti per non avere con me le immagini.
“Veramente non me le avete restituite”.
“Impossibile. Me ne sono occupate personalmente”.
“Guardi, ne sono sicuro, ho controllato subito e ho pensato che le aveste tenute per l’intervento”.
Ecco, avrei dovuto capire che quel dottore era un coglione nel momento in cui, mentre ero già ricoverato, è tornato da me dicendomi che in via del tutto eccezionale aveva realizzato un DVD con le immagini della TAC - che in maniera previdente aveva SCARICATO sul suo computer - e che avrei dovuto conservarle con cura.
Ho visto subito sul disco il logo del laboratorio dove ero andato a fare le analisi, ma ho deciso di fare finta di niente. Non era il caso.
E sapete una cosa: io non mi pento di niente, neanche di non avergli fatto causa, ma di una cosa forse sì. Avrei dovuto sgommarlo di mazzate.
Ti giuro che lo farò.
Sarei dovuto tornare in quell’ospedale per un altro controllo un mese dopo, e mentre ero in macchina ho ricevuto la chiamata: “Visita annullata, ambulatorio chiuso per Coronavirus”. Sono rientrato a casa. E non ci sono andato mai più.
Ho chiamato la mia dermatologa e mi sono fatto visitare da lei.
E così è venuto fuori che la roba dei puntini aveva un nome: lichen planus.
Una malattia autoimmune che prende tutto il corpo e che viene alimentata dall’ansia.
A quel punto c’era già il lockdown e a me tutte le sere dopo le 20 veniva la febbre e poi spariva la mattina. Mentre le chiazze aumentavano. Quando l’ho fatto vedere alla mia medica di base, mi ha detto: “Cazzo è proprio come nelle foto! Non lo avevo mai visto dal vivo”. In pratica avevo i Beatles delle malattie autoimmuni.
Ho curato il lichen per circa un anno anche con una medicina illegale in Italia - ma non al Vaticano - che a un certo punto ero arrivato a farmi spedire di nascosto dalla Francia. E nonostante il lato spy-story della cosa mi gasasse un pochino, non ho visto miglioramenti evidenti. Ogni tanto mi capita di riguardare le dirette a cui venivo invitato a partecipare in quel periodo e provo una tenerezza oscena nel notare come - senza lasciare neanche un lembo di pelle scoperto - cercassi di coprirmi le mani segnate da questa robaccia con le maniche della felpa. In quello stato ho fatto il festival di Sanremo, e in quei giorni ero diventato carico come un albero di Natale.
Dopo un anno, dicevo, ho saputo che la mia dermatologa sarebbe andata in pensione, e ho deciso di sospendere le visite via zoom e cambiare ospedale.
Adesso mi cura una dottoressa che si chiama quasi come una popstar, e la cosa mi fa ridere sempre un casino. Comunque è venuto fuori che non era lichen, ma psoriasi grave. Parecchio grave. Insomma, manco la soddisfazione di una cosa davvero esotica, ma solo una grande rottura di cazzo.
Dopo il Covid di metà dicembre ho notato un aumento veramente importante delle chiazze e delle zone d’azione. In pratica sono arrivato ad avere quasi tutta la superficie del mio corpo ricoperta e in più sono esplosi dei dolori articolari fortissimi, debilitanti, che mi hanno accompagnato fino a metà gennaio.
Hanno deciso di farmi due biopsie temendo di trovare delle cose, ma fortunatamente non c’erano. Ne hanno trovate altre. Forse un filo meno gravi, ma comunque sempre rompicazzo. In pratica devo stare attento a delle cose e prendere un farmaco che purtroppo influisce sulle difese immunitarie. Tipo che dopo la prima settimana di cura ho perso la voce e ora - dopo la seconda - ho la febbre.
Ma finalmente ho una strada da compiere e un obiettivo e ho deciso di scriverne perché prima di tutto sentivo io il bisogno di visualizzarlo. Di buttarlo fuori.
Di dargli un nome e poi cominciare a fare il possibile per risolvere questi problemini. E anche un po’ di ironizzarci sopra insieme a voi.
Per questo non me la sento di giudicare Fedez e trovo sia ingiusto discutere delle scelte di una persona che si trova davanti una salita da affrontare.
Se vuole correre da solo o se preferisce farlo in compagnia sono solo cazzi suoi.
E restano cazzi suoi anche se ne ha parlato in pubblico.
Dato che non riesco a non pensare al lato paradossale della mia esistenza, vi voglio raccontare che durante l’intervento per le biopsie mi è stato chiesto cosa facessi nella vita e a quel punto è venuto fuori che più o meno sapevano di cosa mi occupo per campare. E non avrei mai pensato di trovarmi su un lettino operatorio, coi pantaloni alle caviglie, un sondino nel ginocchio e due persone che mi ricuciono la pancia, mentre discutono della playlist da mettere durante l’intervento e mi fanno domande sugli artisti con cui lavoro. All’inizio la faccenda mi ha inquietato, poi mi ha fatto ridere e poi mi ha tranquillizzato.
Anche perché hanno evitato consapevolmente di mettere musica italiana e lo hanno anche verbalizzato. Grazie!
Se ho scritto questa cosa è perché mi è piaciuto tantissimo il modo in cui Chiara Galeazzi ha raccontato quello che è accaduto a lei, anche se non sono altrettanto bravo.
Visto che ci sono, ne approfitto comunque per segnalarvi due cose belle:
Questo podcast tutto dedicato a “To Pimp a Butterfly” di Kendrick Lamar, con tutti i protagonisti del disco - Kendrick incluso - coinvolti. Si chiama The Big Hit Show!
Warren Ellis - aka il tizio con la barba che sta sempre con Nick Cave - ha scritto un memoir abbastanza incredibile e dal titolo davvero attraente: “Nina Simone’s Gum”. Peraltro sta per uscire un film proprio sul rapporto creativo e personale che lo lega a Nick Cave. Anche qui il titolo è incredibile.
Ho visto un film davvero molto bello: “Coma” di Bertrand Bonello. E sono davvero orgoglioso che dentro ci sia una canzone di Andrea Laszlo De Simone, e pure del fatto che in un dialogo del film parlano di lui dicendo che è napoletano.
Non è napoletano. Ma non sarebbe stato un problema se lo fosse stato.
Robert Del Naja (lui sì, un po’ napoletano) dei Massive Attack ha realizzato e messo in vendita delle stampe il cui ricavato viene donato interamente a un’associazione che si occupa di fornire aiuti umanitari alle persone colpite dalla guerra in Ucraina. Lo scopo è nobilissimo e se poco poco è vera quella teoria che vede Robert Del Naja nascondersi anche sotto un altro pseudonimo di artista potreste fare del bene compiendo anche un ottimo investimento (e se quella teoria è finta, come dovrebbe essere, anche ‘sti cazzi).
Le stampe sono belle e tutte firmate a mano da lui.
La psoriasi spesso viene presa sottogamba, anche io l’ho fatto per tantissimo tempo e mi ritengo complice del gomitolo sanitario che mi riguarda. Non vittima.
È una malattia debilitante, che influisce nei tuoi rapporti con le altre persone, anche in quelli sentimentali. Ti porta a vergognarti del tuo corpo e a provare disagio per le tracce che lasci in giro. Diventa tutto difficile, anche le cose più banali: andare al mare, metterti in maglietta e pantaloni corti, uscire al sole. Non ti puoi curare da solo e anche essere un piccolo peso per gli altri è una cosa che fa stare male. Prendetela sul serio.
Ciao!
Grazie della condivisione <3
Ciao Emiliano, confida nelle terapie ma soprattutto nell'alleanza medico-paziente, che è più importante di qualsiasi farmaco e vedrai che la patologia tornerà stabile. I pazienti a me più cari non mi hanno mai ringraziato perché ora stanno meglio ma perché, quando stavano di merda e nessuna terapia funzionava, sono stato loro accanto senza nemmeno saper dar loro una soluzione. Semplicemente, ero lì.
P.s. comunque i medici sono degli stronzi!