L'estate che sciolse ogni cosa
È solo il titolo di un libro che non ho letto, ma che ci stava particolarmente bene
Vi ricordate di quando vi avevo detto che questa newsletter sarebbe uscita a cadenza settimanale? Bene, vi ho mentito.
Giuro che ci ho provato, però. Ho scritto e riscritto di vari argomenti che poi finivano regolarmente per essere superati dagli eventi e ogni volta mi ritrovavo costretto a fare i conti con la sindrome del foglio bianco.
E ora che cazzo faccio?
Come si sopravvive a una cosa come quella che vi ho mandato un paio di settimane fa?
Da dove riprendiamo?
Sono stato una settimana in vacanza.
Una settimana in cui a parte guardare film trash italiani, partite di calcio, giocare a giochi di ruolo, aspettare i dati dei contagi e stare in piscina a leggere “Sing Backwards and Weep” di Mark Lanegan, non ho fatto nulla.
Il momento più eccitante: la mattina in cui una biscia lunga quanto le braccia aperte di Michael Jordan in quella famosa foto è entrata in casa e ha scelto un divano come nascondiglio personale. Però sono stato bene, benissimo. Tipo come in quarantena.
Il disco che ho più ascoltato in questo periodo è “The Microphones in 2020” di Microphones (cioè Phil Elvrum quando non si chiama Phil Elverum, Mount Eerie o Gigietto from Velletri). Che poi più che ascoltato dovrei dire: “Guardato”, perché quest’album - una sola traccia di 44 minuti - è uscito anche in formato video (vi ricordate quello che dicevamo due numeri fa sul superamento del formato Spotify? Ecco…). Un vero e proprio slideshow che parte dall’immediato post- “The Glow Pt2” (se non lo conoscete, conoscetelo) per arrivare ai giorni nostri.
Viviamo un epoca strana, dove abbiamo imparato che in musica si possono anche scrivere saggi che raccontano la società contemporanea e che addirittura lo fanno utilizzando poche parole o non utilizzandole affatto (due esempi: uno recentissimo, e uno più vecchio ma importantissimo). E poi c’è tutto un filone autobiografico di cui Elverum è, appunto, un maestro. “The Microphones in 2020” non è nient’altro che la versione sonora di un memoir, un disco ambient fatto con le chitarre, una sorta di catarsi statica che ha nell’entropia la sua caratteristica principale.
In pratica “The Microphones in 2020” è il racconto di vent’anni di vita emotiva sempre in bilico tra realismo e astrazione. Non si tratta di una cronaca minuto per minuto à la Mark Kozelek, per capirci (Mark, a proposito, mortacci tua).
Elvrum usa dettagli del suo quotidiano per raccontare stati d’animo. Parla del se stesso di vent’anni fa per raccontare come si sente oggi. È un esercizio di stile, che somiglia tantissimo a un’operazione a cuore aperto.
Un paio d’anni fa, quando ancora si chiamava Mount Eerie, aveva fatto uscire un album - stupendo - tutto dedicato all’elaborazione del lutto.
”A Crow Looked at Me” parlava di una cosa concreta, dolorosissima, la scomparsa della sua compagna Geneviève Gosselin. In quel disco c’è una canzone in particolare che per me andrebbe insegnata nei corsi di scrittura creativa: si chiama When I Take Out Garbage at Night, e parla esattamente di quello. La difficoltà di fare una cosa banale, un gesto che sei abituato a compiere da sempre senza dargli alcuna importanza, ma che finisce per acquisire un valore che non aveva mai avuto. Ascoltatela, vi farà stare bene.
Lo giuro.
Anche questa volta ho preparato una playlist solo per le persone che ricevono questa newsletter. Si tratta di alcune delle canzoni che ho ascoltato durante la mia settimana di vacanza; in realtà è riferito a una sera in particolare in cui ero seduto su una sdraio e guardavo il tramonto e un po’ ascoltavo canzoni che avevo voglia di ascoltare e un po’ mi facevo guidare dal caso. Perché comunque il caso è bello.
Non è roba da festa, ma da tramonto.
Spero vi piaccia.
Chi mi segue su Instagram, invece, sa che ogni tanto mi diverto a segnalare le uscite del venerdì nelle storie col solo scopo di farmi maledire da quelli che ogni volta mi scrivono per dire che sarebbe meglio fare una playlist.
OK, eccola qui la playlist. La trovate qui sopra e su Spotify.
Questa è per tutti, non è una cosa solo per noi gente della newsletter, sudditi dell’aumm’aumm’, figli degli inguattamento, devoti del nascondismo.
Peraltro partiamo subito col botto, con una settimana davvero piena piena di roba.
Oh, non è detto che la ripubblicherò qui, quindi seguitela e ogni venerdì troverete gli aggiornamenti. Ok?
Ah, un mega-grazie ad Agata che per un anno intero ha raccolto tutti i miei consigli del venerdì e li ha messi qui. Viva Agata!
Poi, che altro dire?
Prima di andare in vacanza sono tornato a vedere dei concerti dal vivo.
Nel senso che ho preso dei treni per andarci e una volta lì ho incontrato tante persone che non vedevo da mesi. Erano concerti di gruppi della mia etichetta, o comunque di amici, quindi è stato emotivamente molto molto forte, ma anche molto molto strano.
Quello che sta succedendo intorno a questo virus è sempre più complesso.
È dall’inizio della fase due che ho la strana sensazione che per i media e una parte della popolazione questo sia un virus che si prende quando ci si diverte, mentre i posti di lavoro, i mezzi pubblici, i ristoranti e le chiese ne siano immuni.
Ho deciso di smettere di usare parole che portano in dote retaggi antichi che profumano di privazione della libertà e che negli ultimi sei mesi sono tornate di fortissima attualità.
Non ne faccio un discorso linguistico, ma proprio di mentalità. Vedo tantissima gente che si è auto-insignita del ruolo di sergente di un qualcosa e che passa tanto tempo a sindacare sui comportamenti altrui e sul mancato rispetto delle regole da parte degli altri.
Sempre e solo degli altri.
Perché noi italiani siamo così: un popolo di santi, poeti, navigatori e delatori con la mascherina sempre messa rigorosamente SOTTO il naso.
Ok, basta.
La pianto.
Come sempre: grazie se siete arrivati fin qui.
Siamo in quasi 500 e boh, chi se lo aspettava.
Ringrazio tutti quelli che mi hanno scritto dopo l’ultimo numero.
Quelli che hanno capito cosa volevo dire.
Quelli che non mi hanno capito.
Quelli che mi hanno dato dello stronzo così, a caso.
E anche mia madre, mio padre, mia sorella e tutti quelli che mi conoscono.
Per il prossimo numero vorrei fare una cosa strana: rispondere a delle domande.
Quindi rispondete a questa mail con cose che vorreste chiedermi.
Parlo di tutto: problemi sentimentali, il calciomercato, consigli per gli acquisti.
Quello che volete voi.
Davvero.
Ciao.
Non so se è questo il posto giusto dove poter porre un quesito. Se sì ne sono felice.
Forse è la loro mancanza a portarmi a esporre questa domanda. Tu hai scritto tempo fa un libro sulla mia band italiana del cuore (anche se così suona troppo smielato). I Verdena. Voglio sapere come ti era venuta l’idea, se ci sono retroscena particolari e se come me pensi sovente a quando uscirà questo sospirato nuovo album..
Grazie per quello che scrivi che leggo sempre più che volentieri!
Silvia