Sono arrivato a Taranto che era già notte.
Una volta entrato in camera non ho neanche acceso la luce della stanza, sono uscito dal bagno e mi sono buttato direttamente a letto.
Due ore dopo sono stato svegliato da due vicini che scopavano selvaggiamente, ma proprio di brutto. Tipo scopata della serie “scopate della vita”.
Una di quelle che ti ricordi.
È stato in quel momento lì che ho preso il telefono, ho aperto i messaggi e ho letto che Francesco non c’era più.
Fra’, hai capito? Ho saputo che eri morto perché mi hanno svegliato due che stavano scopando. Ho pensato che questa cosa ti avrebbe fatto ridere, che l’avresti trovata “adatta”, che mi avresti preso per il culo perché probabilmente ci avrei costruito un tipico “aneddoto alla Colas” e forse, forse, ti avrebbe fatto anche piacere. D’altronde cos’è una rumorosa chiavata notturna se non uno sgraziato inno alla vita? E io di persone più attaccate alla vita di te ne ho conosciute davvero poche. È stato un pensiero veloce, fugace, poi non ho capito più niente e ho anche smesso di dormire. Anche adesso ancora non capisco più niente.
Francesco, Fra,’ Poppy’s, Cerroni, Cepponi, Ciccio… in tutti questi anni ti ho chiamato in un sacco di modi e con me lo hanno fatto tanti altri.
Ci siamo conosciuti davvero, dopo esserci incrociati per anni ma senza veramente parlare, su un furgone in direzione Bologna il 20 gennaio del 2007. Quel giorno tu compivi 30 anni ed eri arrivato direttamente da una notte brava a Perugia.
Senza lamentarti avevi subito preso il controllo della situazione, la guida del furgone e gestito la trasferta.
Noi eravamo dei pivelli che andavano in tour per la prima volta. Tu eri già Poppy’s.
Come non poteva essere un fico uno che tutti chiamavano col nome della sua band?
Se ci pensi, è come se gli amici di McCartney si chiedessero: “Chissà se Beatles esce questa sera?” . Oppure: “Tu che fai a cena? Perché c’è Spiritualized che ha riportato da giù il caciocavallo podolico e dice che si può andare da lui”.
France’ lo stanno dicendo tutti che eri il migliore, il più entusiasta, quello con più energia, il più gentile, lo stanno dicendo talmente tanto che io voglio ricordarti per i vaffanculo fatti bene, quelli al momento giusto, le cose dette dritte, senza fronzoli, senza mediazioni, senza mai dire una bugia.
Pane al pane, vino al vino. Ti sei pure sposato in Adidas. Come potevi non essere il migliore? Eri un risolvi-problemi, quello che bisognava chiamare quando c’era qualche cazzo e che non si tirava mai indietro. Quello che pure nella tempesta riusciva a mantenere dritto il timone e fare attraccare la barca. Ti ho visto sistemare situazioni impossibili senza mai perdere la calma o il controllo, ti ho visto essere umile quando bisognava essere umile e tosto come il marmo quando bisognava giocare al gioco dei duri. Eri anche uno che si sapeva divertire e faceva divertire gli altri. Anche oggi, tra una lacrima e l’altra, sei riuscito a strapparmi un sorriso quando ho visto che la foto che avevi pubblicato il giorno del tuo quarantasettesimo compleanno stava diventando l’immagine ufficiale di questo giorno triste. Ho pensato al giorno in cui te la sei scattata e soprattutto allo stato in cui eri quando te la sei scattata.
Solo tu potevi far diventare “iconica” una foto così.
Eri sempre circondato da amici, non volevi mai stare a casa, c’eri sempre.
E ci sei stato praticamente fino alla fine. Ricordo le tue feste di compleanno, che iniziavano a ora di pranzo e finivano la notte, con casa tua che era un porto di mare, la porta sempre aperta, gente che andava e veniva.
Ti sono sempre piaciute le feste, e in questo eravamo tanto diversi.
Tu amavi celebrare il tuo compleanno, io odio il mio.
Due anni fa avevo dato buca alla tua festa anche se ti avevo detto che sarei passato.
Era in città un amico che non vedevo da tempo e lui alla fine non si era sentito di venire con me. Quando ci siamo rivisti, dopo che già eri stato male la prima volta e avevi scoperto quello che ti stava succedendo, me lo hai fatto notare e in maniera molto stupida ho pensato di averti portato sfiga. Per mesi non ce l’ho fatta a venire da te, e un giorno ti ho mandato un messaggio dove ti dicevo che mi sentivo un coglione per questo. Per il mio non avere mai tempo, lo stare sempre appresso al lavoro.
Per l’abitudine a riempirmi la vita d’impegni che mi portano sempre più lontano dalle cose importanti. Dalle persone importanti.
Tanto lo so che eravamo uguali in questo, e che mi avresti capito.
E infatti mi hai capito ancora una volta, e le parole giuste le hai dette tu a me.
Ancora una volta.
L’ultima volta che ci siamo visti, quando sono venuto a trovarti un paio di settimane fa e tu eri stanchissimo e provato, appena mi hai visto entrare a casa tua mi hai detto: “Finalmente ce l’hai fatta”, e io forse ho realizzato tutto solo in quel momento. Avevo le gambe che mi tremavano e la testa che girava. Ho davvero pensato che forse sarebbe stata l’ultima volta. Ma ho raccontato a me stesso che non sarebbe andata così, che sarei tornato. Avrei dovuto dirti che ti voglio bene, e che sei stato importante per me, ma siamo due maschi vecchi coi capelli bianchi e ste cose non se le dicono.
Piuttosto si mandano a cagare e si prendono in giro. “Finalmente ce l’hai fatta”.
Ieri, prima di partire per Taranto, sono andato a registrare un podcast che uscirà prossimamente e dove mi hanno chiesto di raccontare momenti della mia vita attraverso dieci canzoni. Come ultima canzone ne ho scelta una che parla di lutti.
Non siamo più ragazzi, anche se ancora andiamo a Bologna coi furgoni, e l’essere adulti porta ad avere sempre più confidenza con questo genere di cose.
Ho parlato di amici che non ci sono più e della mia incapacità di elaborare queste cose, gestire le chiusure, scrivere i finali. Ho parlato di persone che hanno fatto cose importanti in questo bizzarro mondo della musica. Persone che anche se non salivano sul palco, ma che pure quando lo facevano non si prendevano la luce piena, meriterebbero di essere ricordato come si ricordano quelli famosi.
Che a Enrico, a Marco, a Teo, Mirko e Claudia dovrebbero intitolare delle strade nelle loro città. Perché sono stati parte importante di una comunità e che quella comunità l’hanno tenuta viva. Non sapevo che giusto ventiquattr’ore dopo avrei dovuto scrivere queste cose. Però una cosa, una cosa stupida la voglio dire: io non lo so chi cazzo era Mirri, quello a cui è intitolata la strada dove c’è il Monk, di sicuro avrà fatto delle cose importanti. Però so che quella strada da oggi dovrebbe chiamarsi Via Francesco Cerroni. Poppy’s per gli amici.
Loro, Elettra, tutti quelli che restano. Noi, insomma.
Bello 😞 Lo abbiamo conosciuto anni fa negli anni del Circolo, incontrato poi a Londra. Ci dispiace davvero molto. Noi alle morti di solito dedichiamo un brindisi, quindi cheers 🍻