Il gran ballo dei dischi del 2024 (prima parte)
Sono tanti, quindi la divido in due parti. Ordine alfabetico e s'abbracciamo.
Non mi dilungo molto nell’introduzione.
Tanto già sapete tutto e non voglio rendere questo numero della newsletter ancora più eterno (parlo solo di lunghezza) di quello che già so che sarà.
Faccio solo un piccolo preambolo dove vi elenco delle cose più o meno in tema che ho fatto - fuori da qui - nell’ultimo periodo.
La prima è proprio la puntata di PVC dedicata ai migliori album del 2024 dove con Daniele Manusia ci siamo divertiti ad assegnare delle categorie del tutto arbitrarie - in stile Notte degli Oscar - e abbiamo distribuito i nostri premi.
La trovate qui:
E qui c’è una playlist che raccoglie tutti gli album di cui abbiamo parlato (e che in parte ritroverete anche in questa mia lista personale)
A proposito di playlist, ecco quella con le canzoni che più mi hanno fatto compagnia durante questo assurdo, lungo e abbastanza difficile 2024.
Le canzoni, si sa, sono come una sfoglia di cipolla. Strati che fanno il giro intorno al cuore dell’esistenza. Sono molto orgoglioso della cover (che attesta, se ancora non lo aveste capito, il mio essere un completo scemo).
Sempre a proposito di podcast, c’è questo che si chiama Memoriter dove ti chiedono di aprire il cassetto dei ricordi attraverso dieci canzoni che hanno scandito quei momenti. Insomma: io che parlo per 1 ora e 10 minuti di cazzi miei.
Decidete se accollarvela o meno:
Per finire, l’ultima puntata del 2024 di Hex Enduction Hour su Radio Raheem (l’appuntamento mensile dove mi diverto a creare viaggi musicali lunghi 1 ora e senza inutili parole in mezzo). Qui sotto c’è la tracklist:
Ok, sbrigate le pratiche, direi che possiamo cominciare.
Come sapete se mi leggete spesso, non amo le classifiche.
Quindi l’ordine è solo alfabetico.
Let’s go!
I DISCHI DEL 2024 DI COLAS (se cliccate sui titoli vi ascoltate gli album)
Adrianne Lenker - Bright Future
Uno dei miei dischi preferiti in assoluto di questo 2024. La musica di Adrianne Lenker senza i Big Thief ha la capacità di fermare il tempo e trasformare il mondo intorno in una sorta di limbo dove ti ritrovi da solo con le sue canzoni e la sua voce.
Alan Sparhawk - White Roses, My God
Ammetto di avere un debole per i titoli con dentro le virgole, ma non è questo il motivo per cui ho amato un album che so non essere piaciuto a tanti. “White Roses, My God” è la reazione a un lutto che passa attraverso la distruzione di uno schema.
La voce era un elemento fondante della musica dei Low e qui viene destrutturata, filtrata, massacrata, coperta. Fra qualche anno ne parleremo come ora parliamo di “Trans” di Neil Young. Culto.
Asher Gamedze & The Black Lungs - Constitution
Durante l’ultima puntata di PVC ho detto che Asher Gamedze è egiziano, e poi ho passato il resto della registrazione a maledire me stesso perché so benissimo che viene dal Sudafrica. Batterista incredibile, uno dei dischi jazz con più anima che ho ascoltato quest’anno, di certo il mio preferito (anche per via del concerto splendido che gli ho visto fare a Le Guess Who?). International Anthem e sai cosa bevi.
Astrid Sonne - Great Doubt
Arrivata al terzo album, Astrid Sonne “scopre” la sua voce e la forma canzone.
La viola è sempre l’elemento principale delle sue composizioni, così come non manca l’elettronica anche nelle sue forme più destrutturate. Ma questo è essenzialmente un disco più facile, ma pieno di bei pezzi e che si fa ascoltare con piacere.
Bill Callahan - Resuscitate!
La regola è molto semplice: se Bill Callahan fa un disco, di solito è tra i più belli dell’anno in cui esce. Sempre. Anche quando si tratta di un disco dal vivo con brani tratti principalmente dai suoi ultimi lavori ed eseguiti con una band di fuori classe assoluti. I “soliti” Jim White e Matt Kinsey, per l’occasione affiancati da Nick Mazzerella, Pascal Kerong’A, Nathaniel Ballinger una leggenda come Joshua Abrams e Lisa Alvarado. Per dirla con le parole di Bill: è come se le sue canzoni avessero acquistato i superpoteri. È davvero così.
Brittany Howard - What Now
Brittany Howard è pazzesca. Davvero.
Pazzesca, non ci sono altre parole. Scrive, canta, suona e produce davvero da paura.
"What Now” è il suo capolavoro: psichedelia, soul, funk, r’n’b. Un vero e proprio caleidoscopio di suoni e influenze. Sembra un disco di Prince, ma con le campane tibetane.
Chanel Beads - Your Day Will Come
Chanel Beads: nome da band dietro cui si cela Shane Lavers, pischelletto di New York che, aiutato da un manipolo di amici, si muove nel solco scavato da Bradford Cox coi Deerhunter e forse ancora di più coi suoi progetti solisti. Roba un po’ avant pop, un po’ shoegaze, un po’ indie che a me fa ancora stare bene e che s’insinua sotto pelle ascolto dopo ascolto.
Charli xcx - Brat
Il disco che ha scandito l’estate di quasi tutti e quindi anche la mia.
Forse anche la chiusura di un cerchio e la fine di un epoca (quella dell’hyperpop scuola PC Music/AG Cook etc etc). Va insieme al disco postumo di Sophie.
Childish Gambino - Bando Stone and The New World
Disco che probabilmente è piaciuto solo a me e che è arrivato in un momento di backlash verso la figura di Donald Glover (forse troppo bravo a fare tutto per poter stare davvero simpatico). Un sacco di pezzi, un sacco di idee, alcune belle altre brutte.
Però, oh, io l’ho ascoltato tanto durante l’estate e quindi eccolo qua.
Cindy Lee - Diamond Jubilee
Un disco di cui si è parlato tantissimo per via del modo in cui è stato pubblicato e anche per quello che rappresenta in termini d’opera artistica: 32 canzoni, praticamente un triplo album forte di un songwriting molto definito ma pure capace di spaziare verso territori più arditi senza avere paura di rischiare.
Per chi aveva già confidenza con la musica di Patrick Flegel sia con i Women sia per i lavori precedenti di Cindy Lee sarà stato uno shock vederlo così al centro delle cronache musicali del 2024. Tutto meritato: “Diamond Jubilee” è un capolavoro.
Il disco più entusiasmante dell’anno. E viva sempre i Velvet Underground.
Dame Area - Toda La Verdad Sobra Dame Area
I Dame Area sono una certezza della scena underground/industrial europea.
Metà italiani e metà di Barcellona sono una delle band più esplosive che possiate vedere live in questo periodo. E finalmente se ne stanno accorgendo in tanti.
Quest’ultimo disco è uno dei loro migliori di sempre: violento e seducente.
Dialect - Atlas of Green
Andrew PM Hunt è un altro che proprio non è capace di fare dischi brutti.
Quest’anno ne ha fatti addirittura due perché pure quello degli Ex-Easter Island Head è abbastanza una bomba (dal vivo anche meglio e Norther è uno dei pezzi dell’anno) e poteva starci in questa lista. Minimalismo ambient con elettronica, strumenti classici e suoni di una bellezza manifesta.
Doechii - Alligator Bites Never Heal
Più che questo mixtape, a rilevarla al mondo è stato l’incredibile NPR Tiny Desk Concert che la vede protagonista. Predestinata: scoperta da Kendrick Lamar, presente nel disco di Tyler The Creator e pronta a prendersi il 2025.
DORIS - Ultimate Love Songs Collection
Un disco pazzo che sta al rap del 2024 come “69 Love Songs” stava all’indie pop del 1999. Ovviamente sto scherzando, ma questo album di questo rapper/producer/visual artist del New Jersey ha in comune col capolavoro dei Magnetic Fields proprio la struttura: si tratta di 50 bozzetti (tutto l’album dura 48 minuti), accenni di canzoni in cui la fanno da padrone i campionamenti e un’atmosfera piuttosto famosa.
Un po’ Dean Blunt e un po’ Earl Sweatshirt.
Father John Misty - Mahashmashana
Alla fine di uno come Father John Misty ti vengono da scrivere sempre le stesse cose: che vorresti odiarlo, che ha tutto per starti sulle palle, ma poi ascolti i dischi e resti a bocca aperta. Perché questo tizio scrive ballate pop massimaliste come nessun altro.
E ha un approccio letterario, ironico e devastante alle liriche che rendono i suoi album irresistibili. Maledetto! Yes, it is.
Fontaines DC - Romance
Il 2024 è l’anno in cui sono diventati grandi. O grossi. Leggetela come volete.
Si vestono peggio che agli esordi, la copertina dell’album è forse la più brutta dell’anno, però hanno i pezzi. Eccome se ce li hanno.
Helado Negro - Phasor
Lui per me è lo stile fatto a persona: nel sound, nel modo di cantare.
In tutto. “Phasor” è uno dei picchi della sua carriera (che è lunga anche se vissuta sempre un po’ sottotraccia). Se vi piacciono i suoni morbidi, le atmosfere latine e un po’ di spocchia indie scuola Brooklyn lo amerete.
James Jonathan Clancy - Sprecato
Jonathan si rimette a fare dischi dopo sette anni dall’ultimo e per la prima volta, oltre la faccia, ci mette pure il nome di battesimo.
L’atmosfera che si respira tra le tracce di "Sprecato” è avvolgente e accattivante.
Da ascoltare dall’inizio alla fine.
Jeff Parker Eta IVTet - The Way Out of Easy
Nato da una serie di concerti che per sette anni ha infiammato tutti i lunedì sera dell’ETA di Los Angeles, “The Way Out of Easy” altro non è che la registrazione di una serata del gennaio 2023 in cui Jeff Parker e il suo quartetto hanno fatto la cosa che sanno fare meglio: improvvisare. Un disco jazz abbastanza old fashion e forse per questo irresistibile. Lottava con l’album dei Messthetics con James Brandon Lewis.
Jessica Pratt - Here in the Pitch
Ho cominciato ad ascoltare questo disco giusto all’inizio di questo mese, cioè quando sono uscite le prime liste col meglio del 2024 e tutti ne hanno parlato con toni trionfalistici. È facile capire perché: una raccolta di belle canzoni, di chiara ispirazione folk pop anni ‘60 che in certe occasioni sono meglio del confort food quando hai litigato col ragazzo/ragazza/ragazzu.
Joey Valance & Brae - No Hands
Copertina così brutta che per mesi mi sono rifiutato da ascoltarlo.
Però continuavo a vederne parlare in giro e alla fine sono capitolato.
Rap vecchia scuola, un po’ Beastie Boys un po’ Run The Jewels al punto che le produzioni di certi pezzi potrebbe averle fatte EL P.
Il tipo di rap che ti fa fare su e giù con la testa. Quello che non invecchia mai. Divertente.
Jpegmafia - I Lay Down My Life for You
Nell’anno in cui sono usciti due dischi così così di Kanye West, torna a Jpegmafia a prendersi lo scettro del fare musica pensata fuori dai gangheri.
Con quell’originalità lì e quella capacità di essere sempre spiazzante e nuovo pure quando utilizza campioni iper-riconoscibili e facili.
Ka - The Thief Next to Jesus
Rapper e produttore, leggenda dell’hip hop underground di New York (e pure della città visto che è stato capitano dei vigili del fuoco e uno dei soccorritori dell’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre 2001). È venuto a mancare esattamente un mese dopo l’uscita di questo album, a ottobre di quest’anno. È il suo testamento artistico e un disco bellissimo. Consigliato se vi piace Billy Woods e tutto quel mondo lì.
Kendrick Lamar - GNX
Difficile lasciarsi alle spalle un concept così “difficile” e personale come “Mr Morale…”, ma dopo un beef con Drake che gli ha fatto tornare la voglia di fare canzoni su cui la gente può anche ballare un po’, Kendrick Lamar realizza il suo disco tributo al rap di Los Angeles. Come sempre intensissimo dal punto di vista testuale e pieno di riferimenti più o meno espliciti a tantissime cose, dopo tutti questi anni possiamo dedicare l’esistenza di un Kendrick Lamar Cinematic Universe. Alla fine si tratta di uno degli artisti pop più famosi del mondo, che però fa sempre dischi mettendo l’arte al centro. Intoccabile.
Mabe Fratti - Sentir Que No Sabres
Mabe Fratti ha solo 32 e arriva dal Guatemala (altra provenienza geografica che ho toppato durante l’ultimo PVC, mortacci mia). Dico “solo 32 anni” perché ha già fatto tantissime cose e si porta pure il fardello di essere stata definita l’erede naturale di Arthur Russell (perché suona il violoncello e scrive canzoni, ma parliamoci chiaro: questo paragone ucciderebbe chiunque). È brava da fare schifo, nel senso che è quasi irritante nella sua perfezione. Ho cominciato a capire davvero le sue cose giusto un paio di mesi quando le ho visto fare un concerto che definire incredibile è dire poco. Perfetta.
Meshell Ndegeoncello - No More Water: The Gospel of James Baldwin
A proposito di concerti bellissimi che ho visto nel 2024 e che mi hanno spinto ad ascoltare dischi che forse non avrei ascoltato: io non avrei pensato di poter andare in fissa ADESSO con un album di Meshell Ndegeoncello che nella mia testa era rimasta improgionata in una puntata di B-Side di Alessio Bertallot dei primi anni ‘90.
E pensare che questa estate era pure passata da Roma e l’avevo snobbata.
Vi giuro, non potete capire quanto mi sto dando dello stupido: ho ignorato per anni un’artista immensa, davvero l’unica capace di raccogliere un pochino l’eredità di Nina Simone e che quest’anno ha pubblicato un album che è anche un saggio su razzismo e sessualità (da qui il riferimento a James Baldwin) e che sembra uno di quei dischi che avrebbe potuto fare Gil-Scott Heron se fosse ancora vivo.
(Continua…)
Grazie di cuore per tutti questi consigli d'ascolto e per la playlist
"la copertina dell’album è forse la più brutta dell’anno" ho riso parecchio, ma solo perché è vero. Grazie per tutti questi suggerimenti!