Ho preso il Covid e poi l’ho tenuto.
Nel senso che ce l’ho ancora.
Non sono stato malissimo (a parte un giorno), febbre ne ho avuta (ma per poco tempo), l’olfatto l’ho perso (ma poi l’ho ritrovato), e ho passato un po’ di giorni con la sensazione che ci fosse un’entità invisibile pronta a prendermi pugni in ogni istante della mia esistenza (e probabilmente l’entità c’era davvero).
Non so dove l’ho preso, potrebbe essere stato ovunque.
D’altronde è un po’ di tempo che ho smesso di essere veramente attento, un po’ di tempo che ho capito che tutta questa situazione mi stava facendo affrontare la vita come se qualcuno avesse tenuto premuto il tasto “Pausa” e io stessi aspettando che venisse rilasciato. Per cui ho fatto cose, ho visto persone, ho indossato la mascherina e me la sono pure tolta. Tanto se deve succedere, succede.
Ed è successo.
La parte brutta di prendersi il Covid, a parte l’ansia per il decorso della malattia, l’incredibile rottura di cazzo e le tante problematiche che questo comporta dal punto di vista pratico, per me ha avuto più a che fare sul doverlo comunicare alle altre persone. Chiamarle una a una, mandare messaggi, e fare a cazzotti col senso di colpa per il rischio di avere messo qualcuno nei guai.
Che poi farsi il Covid coi vaccini è diverso dal farselo senza, ma che ne sai come sta messa la persona che hai beccato a cena mentre magari ti sentivi solo un po’ raffreddato? E se fosse no-vax?
Ecco, non so a voi, ma a me la retorica anti-anti-vaccinismo ha stufato quanto la retorica anti-vaccinista e comincio a non reggere più le polarizzazioni. Gli scontri.
Il fatto che una pandemia sia comunque riuscita a metterci sempre di più gli uni contro gli altri. Vaccinisti e anti-vaccinisti, pro e contro il gran pass.
Ricchi contro poveri. Sempre ricchi contro poveri. Solo ricchi contro poveri.
Mi piacerebbe si discutesse di più di chi ha paura, e del perché e del come questa paura sia stati alimentata. Del fatto che siamo passati dal dire che nessuno sarebbe stato lasciato indietro a provare disprezzo per chi si è sentito bloccato dal terrore anche se si tratta di terrore indotto dai media, dalla società e anche dalla politica…
Sono stato tanto a casa, e ci starò ancora per un pochino.
Isolato da tutti, esisto solo nel tragitto che mi separa dal letto alla scrivania e al divano.
Mi sento imprigionato in un limbo in cui di fatto tutto va avanti ma niente scorre per davvero. La vita, il lavoro, tutto uguale.
Sentimenti da prima ondata ma senza l’empatia e la voglia di reagire della prima ondata. Mi sentivo parte di una comunità e ora sono da solo.
Siamo tutti soli.
Sono stato a casa, dicevo. E ho recuperato qualche vecchio film, visto delle serie splendidamente stacca-cervello e - come tutti - mi sono perso dentro “Get Back”, il documentario di Peter Jackson dedicato alle session di “Abbey Road”/”Let it Be”.
Non vi ammorberò su cosa penso del documentario, sul linguaggio che hanno scelto - senza mediazioni, spiegazioni o voiceover - o sulla sensazione di essere partecipe e presente in uno dei momenti più intimi della vita di un gruppo, quello della creazione, in uno dei momenti più difficili della storia di quel gruppo, quello della fine.
Vi dirò solo che il bello di vivere in quest’epoca è che da una porta che ti permette di accedere a un mondo se ne spalancano sempre mille altre. E così sono più di dieci giorni che mi perdo - e in molti casi è un perdersi di nuovo - in mille letture, interviste, film che mi riportano a quella fase dei Beatles e a quello che è successo subito dopo. Peraltro pensavo che nessun’altra band della storia è stata raccontata quanto quella, ma anche che nessun’altra band della storia ha spiattellato la storia della sua fine nella maniera in cui lo hanno fatto i Beatles.
Le interviste, i documentari, ma non solo. I membri di quel gruppo hanno passato buona parte delle loro carriere da solisti a mandarsi pizzini musicali su quello che era successo. Messaggi di odio ma anche di pace, empatia e in certi casi anche di serenità.
Per questo ho deciso di farvi un piccolo regalo e mettervi in fila un po’ di canzoni dove gli ex Beatles hanno raccontato i Beatles.
Ve la carico qui:
Nei prossimi giorni, forse già domani, si concluderà la seconda stagione del podcast di interviste che realizzo per Klein-Russo.
Quello che ha lo stesso nome di questa newsletter.
Anche a questo giro abbiamo realizzato sei puntate e sono molto orgoglioso del risultato finale (un po’ meno orgoglioso del fatto che ancora non ho capito come far suonare bene la mia orribile voce).
Qui trovate tutte le puntate, ne manca solo una.
Volete indovinare l’ospite?
Non ricordo se l’ho già scritto in una delle passate newsletter, ma non credo.
Comunque è da un po’ di tempo che sto collaborando con il MAXXI a un progetto a cui tengo molto. Si chiamano “Mood Guides” e sono delle vere e proprie “guide musicali” ad alcune delle mostre esposte nel museo romano. Guide musicali nel senso che non troverete la mia voce che vi racconta una di quelle opere - per fortuna - ma che attraverso a un QR Code si può accedere a delle playlist preparate dal sottoscritto e pensate proprio per accompagnare la visita a museo.
Nel momento in cui scrivo ne ho realizzate tre:
una dedicata alla ormai conclusa rassegna estiva del MAXXI.
Una per l’architettura.
E una per SenzaMargine, la collezione permanente che espone opere di Luigi Ghirri, Mario Schifano e tanti altri.
Visto che fare playlist è una delle cose che più mi rilassa al mondo, vi lascio anche quella che avevo preparato per l’autunno che sta per finire.
Tanto fra poco arriva Natale e con lui il secondo volume di Natale Flanella.
Il disco che più mi è piaciuto tra quelli che ho ascoltato in questo periodo - recentemente nominato miglior disco del 2021 da The Wire - è “Fatigue” di L’Rain.
Ovvero il secondo album - il primo, omonimo, era del 2017 - di Taja Cheek, polistrumentista e cantautrice di base a Brooklyn e molto attiva nella scena sperimentale locale. “Fatigue” è un disco abbastanza senza tempo dove tutto si filtra con tutto: soul, r’n’b, ma pure musica ambiente, noise, elettronica, lo-fi, dance.
È impossibile inquadrarlo in un genere, fa tutto quello che ho detto sopra e lo fa contemporaneamente. Io ne sono rimasto davvero sorpreso e infatuato.
E spero sia così anche per voi. Alla prossima!