Ciao, come va?
Come state?
Come butta?
Che si dice?
Lo so che è da parecchio che non mi faccio sentire e vorrei potervi raccontare che sono stato impegnatissimo a vivere una vita rocambolesca e piena di emozioni e sussulti e grida e scatti e salti e tutto. La verità è che sto facendo quello che più o meno fate anche voi: lavoro tantissimo, compro cose, lavoro di nuovo, compro altre cose e mi chiedo spessissimo se tutto questo ha senso*.
Fa troppo freddo per andare in bicicletta e troppo tutto per non provarci comunque. Ogni mattina esco di casa per andare in ufficio, cammino quei tre minuti che mi separano da una porta all’altra e penso che mi manca un sacco la gente.
Giuro. Mi manca la gente.
E io odio la gente.
Non tutta tutta la gente eh, tipo te per esempio mi stai stai simpatica/simpatico, ma la gente come concetto, quello sì, ho sempre fatto fatica a reggerla.
Sarà che faccio un lavoro che è per natura votato alla socialità, allo scambio, all’incontro e alle riunioni via zoom che durano sei ore, sarà che io ho sempre vissuto quelle situazioni cercando di seppellire la mia timidezza tenendo banco e stordendo le persone che ho intorno di parole, aneddoti e battute, solo per non ritrovarmi ad affrontare quei momenti imbarazzanti in cui cala il silenzio e non so mai più dove guardare. Sarà quel che sarà - cit. - ma la verità è che io da solo sono sempre stato bene.
Fin da ragazzino. Fin da quando mi hanno inculcato che socializzare è importante.
Ci sono stati momenti in cui non ho sentito proprio il bisogno di uscire dalla cameretta. Momenti in cui mi bastava la radio, le mie cassette, qualche rivista, i libri e la fantasia. Passare il tempo a inventare cose è sempre stato il mio intrattenimento preferito. Ho quaderni pieni di assurdità, giochi che ho inventato e storie che ho scritto solo per tenermi compagnia. Ricordo che quando avevo sette/otto anni mi ero inventato questo personaggio che faceva il calciatore e che cominciava la carriera dalle giovanili della squadra del piccolo buco di culo di provincia in cui vivevo.
Si faceva notare, veniva preso da una squadra primavera di Serie A e alla fine arrivava a esordire tra i grandi campioni. Il mio calciatore era inventato, tutti gli altri no: avevo preso un almanacco del Guerin Sportivo dedicato al torneo di Viareggio e avevo creato il mio ecosistema calcio immaginario. E c’erano ovviamente le partite che avvenivano tracciando linee sul foglio tra i vari ruoli fino a creare le azioni da goal o le parate, i falli e tutto. E c’era ovviamente il calcio-mercato, le offerte, i dubbi, le trattative.
Se solo fossi stato più intraprendente - e tecnologicamente avanzato - probabilmente avrei inventato Football Manager, ma la verità è che cercavo solo un modo per riempire i miei vuoti mentre avrei dovuto fare i compiti.
Poi, ovviamente, c’erano le partite a pallone vere che avvenivano usando i cancelli delle villette a schiera come se fossero delle porte da calcio, peccato che ogni tanto arrivasse un’automobile a interrompere il gioco.
Vi giuro, però, che stare da solo non è mai stato un problema. Anzi.
Eppure non ce la faccio più.
Il primo lockdown è passato quasi alla velocità della luce e nonostante l’ansia, la paura e una situazione incasinata che mi trascinavo da prima, è andato meglio di quello che mi sarei aspettato. Adesso no, adesso mi manca la gente.
Soprattutto quella che non conosco. Mi manca andare in un posto pieno di persone mai viste, mi manca essere pressato dalla folla, mischiarmi, perdermi, ballare.
Mi manca di brutto ballare e non è che prima passassi il mio tempo a dondolare in pista, ma mi manca. Come mi manca la vita in tour, quel modo di stare in gruppo, i tempi morti, gli scleri, le ansie, il cibo di merda degli autogrill e quello ottimo di ristoranti trovati per caso uscendo dall’autostrada.
Mi mancano, di base, tutte quelle cose che hanno scandito la mia vita pre-pandemia e che facevo fatica a sopportare.
Torneranno? Spero proprio di sì.
Ok, basta. Come sempre affronto il foglio bianco senza sapere cosa scrivere e poi mi ritrovo a fare i conti con delle parole che non pensavo di voler dire.
Non in questo modo, non ora. Ma che ci posso fare?
È andata così.
Per farvela prendere bene vi segnalo un po’ di cose che mi sono piaciute.
Prima di tutto il nuovo spettacolo di Bo Burnham, “What.”
Che poi non è nuovo per niente, ma su Netflix lo hanno messo da pochissimo e quando ho scoperto che in realtà era roba di sette anni fa ci sono quasi rimasto male.
Perché è attualissimo. E potente. E fa ridere.
Lo trovate tutto su YouTube, nel canale ufficiale di Bo Burnham.
Senza abbonamenti o altro.
La comicità è un argomento che mi interessa un casino, da sempre.
Credo che far ridere sia una delle cose più belle e difficili che un essere umano possa provare a fare. E mi interessano molto i discorsi che si fanno intorno alla comicità.
Per questo vi segnalo un non-programma (lol) creato dal team di Tutti a Casa.
Tutti a casa è stato per me una specie di salva-vita durante il primo lockdown, una delle cose che ha contribuito a creare quello strano concetto di comunità che è poi la cosa che mi ha tenuto in piedi durante tutto quel periodo.
Mentre i media tradizionali ci martellavano tutti i giorni con notizie devastanti e allarmismo preoccupante, un gruppo di stand up comedian, autrici e autori comici italiani si metteva su YouTube a chiacchierare, ogni sera, anche di cose serissime, con ospiti serissimi, ma nel modo in cui avremmo potuto farlo tutti noi, con i nostri amici.
Da una costola di quel programma sono nati tutta una serie di format che regolarmente vanno in onda su Twitch, tra cui Comedy Talk.
Un vero e proprio talk show serio dedicato alla comicità.
Al mestiere di fare ridere, alle cose che si possono o non si possono dire, a come la comicità si rinnova in base ai cambiamenti della società e tante altre cose.
Vi metto qui una puntata, ma ne troverete molte altre.
Secondo me è super interessante.
Visto che ci sto, vi segnalo a questo punto anche il podcast di Luca Ravenna e Edoardo Ferrario. Si chiama Cachemire, succede ogni venerdì.
Mi piacerebbe anche dirvi che sono usciti un sacco di dischi irrinunciabili, ma la verità è che sto ascoltando praticamente solo roba vecchia.
Questo però non mi ha impedito di mettere insieme la playlist con le canzoni di Gennaio. La trovate qui sotto, è in aggiornamento.
A proposito, il primo di Gennaio è andata in onda una maratona di 17 ore su Radio Indimenticabile, la radio di Ivreatronic.
Io vi consiglio di recuperarla tutta, ma ovviamente vi linko la mia ora (se non ricordo male era dalle 22 alle 23) tutta dedicata al suono del lockdown.
Fa dondolare la testa. Eccola.
Nel mentre vi dico che sto cominciando a lavorare alla nuova edizione di Extra Podcast e se avete curiosità da chiedermi e personaggi che vorreste sentire intervistati da me, scrivete pure.
In generale mi piacerebbe riprendere la consuetudine delle domande.
È da un sacco che non lo facciamo.
Per cui, sentitevi liberi di chiedere quello che volete.
E se avete qualcosa da segnalare… siete i benvenuti o le benvenute.
Come sempre grazie per avere letto fino a qui.
A presto.
*Spoiler: no, non ce l’ha. Niente ha senso. Vaffanculo.
Bella! Su Extra mi piacerebbe sentire Cosmo.
Boh, sono di corsa, non ho capito bene come fare a scriverti, ma sento che se non lo faccio ora poi scappa. Grazie. La tua playlist, ascoltata domenica sera, è perfetta. Cioè, perfetta per il luogo, il tempo e lo spazio che ho vissuto. Si è infilata nella mia serata con una precisione che manco dei guanti su misura.
Alla tua,
Jacopo