Non so perché, ma è da quando sono piccolo che associo il Natale ai Beatles.
D’altronde sono notoriamente più famosi del tizio che compie gli anni questa notte, ma credo c’entri anche il fatto che mio padre abbia battezzato ogni festa comandata della mia infanzia con i loro dischi o le loro canzoni.
Natale, Capodanno, Pasqua, ma anche una semplice domenica: non c’era una festività che non cominciava con le note di una canzone dei Beatles che riempivano il salotto, si arrampicavano per le rampe delle scale e spalancavano le porte della mia stanza o di quella di mia sorella. Di solito, a farla da padrone era sempre una raccolta - in doppio vinile - dalla copertina color legno. “Love Songs”, si chiamava: incominciava con Yesterday e chiudeva con Ps I Love You. La preferita di mio padre, invece, era quella che apriva la facciata numero tre, Michelle.
Non sono stato mai particolarmente in fissa con quella canzone, però è quella che in qualche modo continuo ad associare alle vacanze di Natale di quando ero un bambino. Lo scorso anno avevo pensato di chiudere il cerchio regalando biglietti per il concerto di Paul McCartney a tutti i membri della mia famiglia.
Un concerto che non abbiamo mai visto e che forse non vedremo mai.
In questi giorni mi è capitato di pensarci spesso a quel concerto, con tutta la tenerezza che suscitano in me i piani che avevamo fatto nella fase pre-covid delle nostre esistenze. Piani che non solo sono stati disattesi, ma che hanno proprio perso valore nel corso di questi ultimi mesi.
Io sono stato un ragazzino irrequieto e un adolescente davvero problematico, ho fatto tante cazzate, alcune anche pesanti, ne ho combinate di ogni eppure i miei ci sono stati sempre. Non me ne rendevo conto all’epoca, durante i conflitti, ma me ne rendo conto adesso. Io mi sarei mandato a quel paese molto prima, ma loro alla fine mi hanno sempre “riacchiappato”. Accompagnarli al concerto del loro idolo, dopo che per tutta la vita sono stati loro ad accompagnarmi nei posti, aveva ben più che un valore simbolico e ora mi chiedo se accadrà mai di nuovo. Chi lo sa se, quando si potrà, avranno ancora voglia di uscire di casa? Se supereranno la paura che ha scandito il loro 2020 e che ha permesso che precipitassero in uno stato d’ansia permanente e che si manifesta pure quando bisogna scegliere se disinfettare o meno i pomodorini?
Io non ho avuto figli e arrivato a questo punto credo che non li avrò mai, e questo credo che sia uno dei motivi per cui ho fatto davvero tanta fatica a realizzare il momento in cui i miei genitori hanno smesso di essere quelli che mi proteggono e sono diventati loro gli esseri umani da proteggere. È successo pochi anni fa, ma è una cosa con cui ancora riesco a venire a patti a fatica. Eppure esiste.
La ruota gira. Sempre.
Ieri, il 23 dicembre, è stato il decennale del giorno in cui il Natale ha smesso di essere per me la festa che era sempre stata. Si dice sempre che la magia finisce quando si smette di credere a Babbo Natale e si entra definitivamente nell’età adulta.
Ma non è così. Natale, per me, è un natale diverso da quando il 23 dicembre del 2010 è morta mia zia D., la moglie del fratello di mia madre. Zia D. e Zio C. si sono fidanzati che lei aveva tredici anni. E da quel momento sono stati insieme per tutta la vita, fino a quando la vita è durata. Di quei giorni ricordo solo lo spaesamento violento e terribile. Mia zia è andata in ospedale per un controllo, perché si sentiva strana e aveva le gambe gonfie, nei primi giorni di quel maledetto dicembre. Per il resto stava benissimo, non aveva mai avuto niente.
Se ne è andata via in un attimo, senza neanche avere il tempo di realizzare davvero cosa stesse succedendo. Io stesso non sono mai riuscito ad andare a trovarla in quei pochissimi giorni di ricovero ospedaliero e faccio ancora fatica ad accettare che sia svanita così.
Quel Natale, di certo il più tragico della mia vita, è stato anche l’unico che si è tenuto a casa mia. E per mia intendo quella dove vivevo io, non quella dei miei genitori.
Pochi giorni dopo, sarei partito per Londra dove sarei andato a trascorrere il Capodanno a un concerto di Shellac, Sonic Youth e Pop Group.
Scappare da Roma non è mai stato salvifico come in quei giorni, anche se a Londra faceva freddissimo, c’era la neve e l’atmosfera ovattata della città si abbinava perfettamente a quello che stava succedendo nella mia testa.
In quei dieci giorni inglesi sono accadute un sacco di cose importanti e la prima che mi viene in mente è che ero partito portandomi dietro solo un Net PC orribile, che aveva delle casse incredibili per quanto facevano schifo, e da cui era impossibile ascoltare musica in modo decente.
È su quel Net Pc che ho aperto la mail in cui un musicista con cui avevo iniziato a collaborare da poco mi aveva spedito due canzoni che sarebbero andate a completare il suo primo disco. Una di queste si chiamava Velleità e a quella mail credo di avere risposto dicendo che non ci avevo capito un cazzo (per colpa delle casse, appunto), ma che forse quello che avevo sentito sarebbe potuto diventare un inno.
Ricordatevelo quando non ci sarò più.
In questi giorni, credo lo abbiate visto tutti, sta girando tantissimo lo sneak peek con cui Peter Jackson racconta l’uscita per il 2021 di un documentario da lui girato e basato interamente su cinquantasei ore di materiale video inedito dei Beatles (essenzialmente tutto quello che è successo dalle registrazioni di “Let it Be” al loro scioglimento).
Ammetto di averlo visto dieci volte il giorno della sua uscita e di aspettarlo come ho aspettato poche cose al mondo. Ma se volete ingannare l’attesa vi consiglio un volumetto interessante: il bel saggio di Linda Scott e Alan Bradshaw, pubblicato in Italia da Luiss, e dedicato interamente a Revolution e al percorso che ha portato quella canzone di rivolta, il manifesto del così detto comunismo in acido, a diventare colonna sonora di uno spot pubblicitario ed essere fagocitata dal capitalismo anti-capitalista.
Lo trovate qui.
Mio zio, invece, si è preso un brutto male del cazzo, uno di quelli che ti succhia via i ricordi e ti cancella la memoria. E questo è il primo Natale dopo non so quanto che mia madre non trascorrerà con lui. Di una cosa però sono sicuro, di mia zia non si scorderà mai.