Dieci dischi di artisti, band o progetti più o meno italiani che sono usciti nel 2023 e che mi sono piaciuti. Ovviamente non troverete niente che mi ha coinvolto a livello professionale, ma penso che anche da quel punto di vista lì sia stato un bell’anno pieno di belle uscite.
Cominciamo!
Bono/Burattini - Suono in un tempo trasfigurato
Il primo disco ufficiale di Francesca Bono e Vittoria Burattini arriva dopo un bel pezzo di vita musicale trascorsa intrecciandosi in vari progetti o semplicemente condividendo una lunga amicizia. “Suono in un tempo trasfigurato” è un lavoro molto semplice, verrebbe quasi da dire minimale: con il Juno 60 e la batteria che si prendono il centro della scena e qualche campione vocale che interviene ogni tanto a dare colore. Un disco orgogliosamente ripetitivo e viaggioso, tra atmosfere sospese e pattern ritmici trascinanti. Spaziale.
Calcutta - Relax
Un disco con un sacco di bei pezzi che ti rimangono attaccati e che ti ritrovi a canticchiare in vari momenti della giornata quando meno te l’aspetti.
E al tempo stesso pure un album che ha una cura maniacale dei dettagli, un suono super definito - tra l’Italia groovosa di fine ‘70 e la Ed Banger - e dei testi che raccontano stati d’animo, molti dei quali legati a un periodo che abbiamo vissuto come collettività e che ancora non abbiamo del tutto superato.
Ogni tanto capita che una cosa che piace a tutti abbia valore a prescindere dal successo e dall’impatto sulle masse. “Relax” è così.
Luca Giovanardi - Storia notturna
Luca Giovanardi, ancora una volta in vacanza dai Julie’s Haircut, dedica un intero lavoro all’omonimo saggio di Carlo Ginzburg, pubblicato nel 1989, dedicato allo studio delle origini popolari della stregoneria. “Storia Notturna”, come il titolo suggerisce, ha il suono esatto di una notte buia scandito da percussioni tribali, strumenti a corda e elettronica d’atmosfera. Magia nera in salsa emiliana, molto evocativo e carico di suggestioni. La colonna sonora immaginaria di un saggio che ti verrà voglia di leggere.
Hawaii8 & Friends - Archivi 1999 - 2021
Hawaii8 & Friends racchiude più di vent’anni di carriera, oscura e attraversata da molteplici alias, di Pierre Chindemi, musicista di base a Ivrea che dopo un inizio da chitarrista/compositore in svariate band post punk ha cambiato totalmente strada approdando al mondo dell’elettronica e dedicandosi anche alla costruzione di sintetizzatori modulari e non solo. “Archivi 1999 - 2021” racchiude musiche di epoche diverse, in alcuni casi anche molto lontane, che hanno tutte in comunque l’amore per certe sonorità di matrice ambient/elettronica (tra Aphex Twin, Boards of Canada, Onehotrix Point Never etc etc) capaci trasmettere una sorta di emotività digitale e trasportare l’ascoltatore in una dimensione altra.
Valentina Magaletti & Zongamin - Suono assente
Due terzi degli Holy Tongue. Valentina Magaletti e Zongamin hanno dato vita nel loro studio di Londra Est a un disco che per certi versi sembra il contraltare di Bono/Burattini. Anche qui a farla da padrona è la ritmica che unita a un certo gusto per il dub rimanda direttamente a un’epoca in cui il post punk era scuro, abrasivo, senza fronzoli e cinematico. Riuscitissimo anche nei momenti dove a emergere è la forma canzone, come per esempio accade in Candles (un brano dal gusto quasi pop ma senza il cantato) e in quelli dove viene spontaneo muovere il culo.
Not Waving - The Place I’ve Been Missing
So che sembra stucchevole, ma ogni disco di Not Waving è potenzialmente un disco dell’anno. Negli anni Alessio ha sviluppato un approccio sempre più personale al suono e la capacità di trovare una sintesi sempre più peculiare tra fruibile e sperimentale. “The Place I’ve Been Missing” potrebbe essere il suo disco più pop, laddove per pop s’intende tutto e il suo contrario. Continua alla grande il sodalizio con Marie Davidson e in Running Back to You insieme al misterioso - o la misteriosa - Romance da vita a una vera e propria sleeper hit underground. Un album pieno di momenti spiazzanti, che pesca un po’ ovunque e cambia continuamente rotta.
Uscito un po’ in sordina a ridosso dell’estate andrebbe riscoperto e amato.
Totale.
Daniela Pes - Spira
Su “Spira” è stato già detto tutto. Al punto che - come con Calcutta - uno vorrebbe fare il superiore e dire “sì, ok, ma guardate che…”.
Guardate un cazzo: è un bel disco, uno di quelli che capita ogni tot.
Ovviamente la mano di IOSONOUNCANE è super presente, ma il talento di Daniela Pes è davvero fuori discussione. “Spira” sa di mediterraneo come poche altre cose uscite quest’anno. E in un panorama come il nostro dove da anni si fa la corsa a clonare Rosalia, sta emergendo davvero qualcuno che quella cosa lì la può fare davvero, ma a modo suo e con lo stile suo.
Rareş - Femmina
Un disco pazzerello e post-tutto e pure anche squisitamente pop.
Il secondo disco di Rareş è un caledoscopio di suoni e influenze diverse, tutte più o meno nu-qualcosa che vengono cucinate, rimasticate e digerite in modo davvero originale. Come se Blanco e ThaSup facessero una roba avant, Madame ma con l’hyperopop, Slauson Malone 1 ma senza i vernissage, Anonhi che si è trasferita ai Caraibi invece che a Berlino.
”Femmina” è un piccolo manifesto gender fluid lì dove per genere s’intende sì quello sessuale, ma pure quello musicale e linguistico.
Marta Salogni & Tom Ralleen - Music for Open Spaces
Un album pensato diversi anni fa, dopo un viaggio a Joshua Tree, e immaginato proprio come colonna sonora di grandi spazi aperti in mezzo alla natura (alcune tracce sono state registrate proprio portando strumenti e macchine in luoghi “pubblici”) che arriva alla luce purtroppo dopo la scomparsa - nel 2020 - di Tom Ralleen e che quindi acquista tutto un altro valore.
”Music for Open Spaces” ha il sapore del requiem e al tempo stesso - proprio per il concetto che c’è dietro - suona come un tributo allo scorrere della vita e dell’amore.
Tra ambient e field recordings.
Massimo Silverio - Hrudja
Una volta guardavo un programma su una tv locale friulana e in studio c’erano tre persone che parlavano tra loro, in dialetto, ma ognuno in una lingua diversa dall’altro.
Per me, che di friulano non capisco una mazza, tutto sembrava super strano e al tempo stesso musicale. Strano perché era come osservare tre persone provenienti più o meno dallo stesso posto ma che comunicavano in tre lingue che non comunicavano tra di loro. Tutto questo per spiegare che la ricchezza della lingua friulana è una cosa di cui ho consapevolezza, ma mai avrei immaginato di andare in fissa con un disco cantato tutto in dialetto carnico. Per certi versi “Hrudja” sta nello stesso mondo di “Spira” di Daniela Pes dove la lingua cantata potrebbe essere qualunque posto del mondo e pure le sensazioni che trasmette sono universali. “Hrudja” è un album bellissimo, evocativo e sognante. Massimo Silverio scrive e canta un Thom Yorke nato e cresciuto tra le montagne. Pazzesco.
ma l'immagine del post che centra? Occhi sgranati.. cmq ottima idea!!!! ahah Saluti