Ciao persone,
sono circa tre settimane che non ci sentiamo.
Tre settimane in cui ho pensato tante volte di scrivervi, ma poi quel momento passava, quell’uomo gridava gelati - gridare gelati è un po’ come ballare l’architettura, diceva quello - e io mi ritrovavo sommerso dalle cose da fare e con poco tempo a disposizione.
Non vi tedio col riassunto della mia vita dalla seconda metà di ottobre fin qua, perché tanto ho la sensazione che sia molto simile alla vostra, o forse anche no ma è comunque poco interessante (non che le vostre vite siano poco interessanti, non volevo dire questo, poggiate il fucile e RIMETTETE A POSTO LA CANDELA).
Di fatto stiamo tutti conducendo l’esistenza degli impiegati di “Brazil”, il film di Terry Gilliam (che peraltro si trova in versione integrale su YouTube).
Viviamo solo in funzione del nostro lavoro, il lavoro è l’unica cosa che ci è permessa fare. L’unica immune al virus. LA-VO-RA-RE, diceva il sindaco di quella famosa città italiana in cui tutti volevano andare a vivere prima del 2020.
Negli ultimi giorni ho scoperto di guardare con più costanza di un tempo ai tool “Ti ricordi?” di Instagram e Facebook. Ovvero quelle notifiche che ogni santo giorno ti mostrano cosa hai pubblicato in quella stessa data nel corso di vari anni di presenza social. La prima volta che mi sono imbattuto in questo - ehm - servizio, credo di aver pensato che fosse la cosa più inutile della storia.
Chi ha voglia di rivedere e rileggere le minchiate che ha scritto e pubblicato nel corso delle stagioni? Le foto degli ex fidanzati, le polemiche del giorno, i flame, gli status scritti in terza persona, le foto mosse, le lomo, le polaroid?
Io, per esempio, odio rileggermi quasi più di quanto odio ogni altra cosa (mentre mi piace guardare vecchie fotografie, ma di questo magari ne parliamo dopo) e odio le mie opinioni. Soprattutto odio il momento in cui le ho rese pubbliche e non me le sono tenute per me. E quella lista di ore perse a discutere del menga nel corso delle stesse giornate spalmate nel corso degli anni, è solo un modo per ricordarci il tempo che abbiamo speso a non vivere.
“Ma chi ha voglia di rivedere tutte ‘ste cose! Non funzionerà mai. E quella roba nuova di Instagram? Pensate davvero che le persone si riprenderanno mentre parlano da sole per quindici secondi? Illusi!”.
E invece, invece eccomi qua. Ogni mattina, mentre faccio colazione, tutto intento a leggere i miei status del 2009 o del 2015 mentre penso ai “bei” tempi andati e magari ogni tanto ripubblico pure qualcosa. Il passato che non passa.
Quello che ritorna sempre. La cosa che forse in quest’anno bizzarro ci ha tenuto insieme. I Ricordi oltre il “Ti ricordi?”
Non so come voi stiate affrontando questo periodo, io so solo che vivo con la sensazione costante che il 2020 non sia mai iniziato. Il 27 gennaio sono entrato in ospedale per un’operazione che solo tre giorni prima ho scoperto di dover fare ed è come se il tasto pausa del mondo fosse stato premuto in quel momento lì.
Tutto quello che è successo dopo, e che in realtà stava già accadendo, è come se fosse avvenuto in una dimensione parallela che ha nello Spallanzani il suo varco spazio-temporale. La nostra vita è cambiata, i nostri interessi, le nostre preoccupazioni.
Guardiamo indietro perché non sappiamo come sarà il davanti.
E anche quelli di noi più abituati a non fare programmi, e a vivere come viene, si ritrovano a fare i conti con una verità scomoda: la sensazione che nessuno sappia come andrà a finire - vaccino o non vaccino - non è confortante, ma è l’esatto contrario.
E anche quel senso di comunità a cui ci siamo aggrappati con le unghie e con i denti all’inizio di marzo è andato via via svanendo.
Io ve lo dico: è molto peggio adesso di prima.
Io sto peggio adesso di come stavo prima.
La stasi, la quarantena, il lockdown…
La vita che si ferma come la ruota dei criceti era una novità, un meccanismo inceppato del sistema, una sorpresa a cui nessuno era preparato. Una variazione impazzita di uno schema che già non appariva troppo lineare. Non sapevamo cosa stava succedendo, non sapevamo sarebbe successo, ma c’eravamo. Eravamo ancora quelli di sempre. Ancorati alla vita che era stata fino a quel momento.
Anche se non era bella, anche se non era perfetta, anche se era insopportabile. Ma era vita. Adesso invece siamo ancora qui, ancora bloccati, sempre più distanti, sempre più soli. Isolati, chiusi, diffidenti. Ma con le biciclette e i monopattini.
Ci siamo fatti andare bene tutto, persino i concerti in streaming a 15 Euro e la funzione “Ti ricordi?” di Facebook. Tutto.
Le foto che vedete qui sopra sono prese da un libro che si chiama “Almost10” è che raccoglie quasi dieci anni di miei scatti realizzati dal 2011 al 2020.
È un libro che esiste in una copia unica, la mia, e che nasce durante una notte insonne in cui - con stato d’animo a livello “terapia intensiva” - mi sono messo a selezionare 207 tra le 6000 e passa foto pubblicate su Instagram con l’idea di contrastare l’impalpabilità della memoria digitale con qualcosa di più completo.
Non è un album fotografico ma un vero e proprio libro in cui le foto sono accostate con un senso logico e narrativo che segue l’ordine cronologico dell’impaginazione.
Ne ho già parlato sui social (aridanghete) e in tanti mi hanno chiesto se fosse possibile comprarlo o meno. Ovviamente non l’ho fatto con quello scopo.
Ovviamente non ci ho pensato.
È gratis, ma c’è pure il tastino per comprarlo in formato fisico.
La versione acquistabile è meno “grande” di quella che mi sono stampato per me, il formato è quadrato (15 centimetri x 15 centimetri), ma sempre deluxe.
Io non ci guadagno un dollaro (giusto dei crediti utili per stamparmi altri libretti) ma se lo comprate, e me lo fate sapere, vi aiuterò facendovi prescrivere un TSO e ringraziandovi per la vita.
Una delle cose più meravigliosamente spaventose - lo so, in italiano non si dice - che ho scoperto ultimamente è la versione di “Yankee Hotel Foxtrot” degli Wilco (disco che se non hai mai ascoltato puoi ascoltare qui per poi chiederti come hai fatto a farne senza per diciannove anni) realizzata da Barry Jenkins, il regista di “Moonlight”, il vincitore del Premio Oscar più lol della storia dei Premi Oscar.
Jenkins è un fiero artigiano di quello strano genere musicale per comodità denominato “Chopped & Screwed”. Ovvero un sotto-gruppo dell’hip hop che dovrebbe venire fuori dalla scena di Houston e che consiste nel far suonare le cose nel modo in cui le percepiresti se ti fossi spaccato di Purple Drank (aka Sprite e Codeina, la ricetta preferita dal vostro cuginetto tredicenne in fissa con Sfera Ebbasta).
So che messa così può sembrare una super-cagata, ma vi giuro che ha il suo fascino e funziona. Soprattutto se vi immergete nell’ascolto aiutati da qualche sostanza.
In ogni modo: eccolo qui.
Questo invece è il documentario, di venticinque minuti, che la CAM ha realizzato e pubblicato in occasione del novantaduesimo compleanno del Maestro Ennio Morricone (letteralmente, cinque giorni fa).
In quello stesso giorno è uscita una raccolta ufficiale - doppia - dedicata al Morricone più underground e psichedelico. Quello dei B-Movie.
Contiene sette tracce mai pubblicate prima d’ora. E io ve la stra-consiglio.
Si ascolta qui.
Ma se siete appassionati del genere “Morricone Underground” dovreste già sapere che la bibbia è questa super compilation assemblata da Alan Bishop e pubblicata dalle Ipecac Records di Mike Patton (con le note di copertina scritte da John Zorn)
Si chiama Crime & Dissonance e ve la embeddo pure, perché merita.
Sto vedendo “La regina degli scacchi” e devo dire che mi sta piacendo (come a tutti), nonostante ultimamente abbia un po’ di problemi col concetto di serialità.
Al Torino Film Festival è stato presentato I tuffatori, il documentario realizzato da Daniele Babbo e dedicato alla tradizione bi-centenaria dei “tuffatori di Mostar”.
Daniele è un amico, il doc. è super bello e spero che prima o poi si potrà vedere ovunque.
Per il resto sono restato, come tutti, molto colpito dalla morte di Gigi Proietti e molto felice per la sconfitta di Donald Trump, tant’è che ora vi sto scrivendo dal bellissimo Four Season Total Landscape di Philadelphia dove vivo da circa una settimana.
Ah, questo è un bel podcast.
Se mi avete scritto delle mail e non vi ho risposto vi chiedo scusa.
Se siete arrivati fin qui, invece, vi ringrazio.
Come sempre, alla prossima.
Vostro Covfefe.