Cosa dovremmo dire quando non abbiamo niente da dire?
Spoiler: niente. OK, vi devo presentare il mio nuovo podcast!
Cose che ho fatto negli ultimi dieci/quindici giorni.
Ho tirato pacco a un sacco di persone, andato a letto quasi sempre presto, ho lavorato un botto e per il resto del tempo ho praticamente fatto solo i conti con la mia stanchezza. Sono stato una settimana a Milano, un giorno a Sanremo, una sera e una mattina a Bologna, due giorni a Roma, un’ora a Milano, un giorno e mezzo a Sanremo e poi di nuovo Roma. Ora sto scrivendo da Milano e se tutto va come deve andare leggerete queste parole mentre viaggerò verso la Liguria. Poi mi fermo.
Sono uscito solo una sera per andare a vedere un concerto - quello di Conway the Machine, bello o per lo meno al di sopra delle aspettative - e una volta per andare a ballare.
Comunque era una vita che non andavo a vedere un concerto hip hop underground, con un pubblico davvero da hip hop underground, in un locale perfetto per l’hip hop underground e la presenza femminile tipica di un evento hip hop underground (tra le sei e le nove ragazze) e devo dire che un po’ mi mancava anche se non sapevo che mi mancava. Scena imperdibile quella di due ultra-trentenni che, all’entrata, si stupiscono seriamente del fatto che a ESA (se non conoscete OTIERRE e Gente Guasta recuperate almeno questi due dischi qui) stessero facendo pagare il biglietto.
E anche se l’affermazione mi ha strappato un sorriso, da ex ragazzino che andava ai suoi concerti e comprava le cassettine mixtape che confezionava negli anni ‘90, ho pensato che adesso che effettivamente il rap italiano domina il mercato discografico viene riconosciuta poca rilevanza storica delle figure che in qualche modo hanno seminato quando il terreno era piuttosto arido.
Attenzione: non sto dicendo che quella scena non sia stata celebrata a dovere.
Esistono dei libri, ci sono i documentari e anche una certa nostalgia bonaria per l’hip hop italiano di quegli anni. Però un ESA negli Stati Uniti verrebbe santificato sul palco da Drake (come successo ai Dipset) mentre da noi quel genere di personaggio resta confinato a un ambito prettamente nostalgico. Che sia il disco di Guè con Bassi a cambiare il corso della storia?
Tutto questo mi ha fatto tornare in mente la volta in cui, ormai più di dieci anni fa, io e Colapesce siamo andati da Roma fino a Spinaceto per andare a trovare Enzo Carella.
Negli ultimi anni, soprattutto dopo la sua scomparsa e grazie anche alle ristampe dei suoi dischi, c’è stata una grande riabilitazione di questo cantautore che all’epoca del nostro incontro con lui era rimasto solo come figura di culto per pochissimi.
La storia di Carella riassumibile in pochi passi è questa: cresce in quel recinto di talento che era la RCA italiana verso la fine degli anni ‘70, forma una coppia artistica in stile Mogol-Battisti con Pasquale Panella. Insieme creano un paio di dischi irresistibili - “Vocazione” su tutti - e si dice che Battisti ci sia talmente andato in fissa da volergli scippare Panella e anche di ricalcarne un po’ il sound nei suoi album bianchi degli anni ‘80. Ha avuto anche un momento di gloria arrivando secondo al festival di Sanremo del 1979 con Barbara (una delle sue canzoni più conosciute).
Come dicevo prima, negli ultimi anni l’influenza di Carella su tanta nuova musica italiana è stata abbastanza certificata, ma nel 2012 non era così usuale parlarne.
Lorenzo aveva inciso una cover di Malamore nel suo disco “Nove cover” (che veniva regalato con “Un meraviglioso declino” e che sta per uscire per la prima volta in vinile) ed era stato contattato da Carella in persona che, sinceramente stupito dall’omaggio, voleva farsi una chiacchierata con noi per provare a organizzare un suo ritorno sulle scene. Partimmo per Spinaceto pieni di idee e aspettative: volevamo proporgli un disco con il meglio del suo repertorio arrangiato e risuonato con musicisti di nuova generazione (tipo i dischi di Johnny Cash con Rick Rubin, per capirci. Mi piace sparare basso) e forse anche un documentario.
Che Carella stesse vivendo un periodo difficile lo sapevamo: poco prima di quell’incontro era stato arrestato perché coltivava ganja in casa. Lo avevano sgamato perché aveva lasciato l’acqua aperta per annaffiare le piante ed aveva raggiunto la sorella in vacanza. I vicini avevano notato macchie sul soffitto, lo avevano chiamato ma non erano riusciti a mettersi in contatto e così avevano avvertito i vigili.
Due piantine del cazzo, tanto basta.
Di quel pomeriggio ho un ricordo struggente: Carella sdentato, con un bozzo sulla testa, in tuta, che si scola praticamente da solo due litri di Coca Cola, che prende la chitarra in mano e prova - anche se non glielo avevamo chiesto - a suonarci alcuni dei suoi brani più belli, malissimo, con solo noi due come pubblico.
Fu emozionante. E un colpo allo stomaco, oltre che al cuore.
Vaneggiò un po’ su varie teorie del complotto applicate ad altri artisti del catalogo RCA (tutta roba più o meno a sfondo sessuale, ma del genere leggenda da bar o da personaggio di Borotalco di Verdone), ci raccontò che si era speso tutto e l’unica cosa che gli era rimasta di bello di quegli anni era quell’appartamento all’ultimo piano di fronte al mare. Ci fece vedere una foto sua con una Porsche e disse: “Lasciate perde’ ‘ste cazzate. Spendere per la macchine non conviene. Non servono a niente”.
Andammo via da lì con il cuore gonfio e la testa piena di dubbi, ma non mollammo il colpo, provammo a coinvolgerlo nei nostri piani ma lui dopo un po’ ci disse che voleva suonare da solo per “guadagnare di più”. Un giorno mi scrisse su Facebook per chiedermi se potevo dargli un contatto de Le mura (club di San Lorenzo in cui gravitava una bella fetta della scena indie romana), voleva fare il concerto del ritorno.
E sinceramente non ho memoria se quella cosa poi andò in porto o se gli scrisse mai.
Provai anche a ristampare i suoi dischi (Vocazione, almeno) con 42, avevo anche avuto disponibilità da RCA e da Panella, ma prima ancora che quella cosa potesse diventare davvero concreta Enzo Carella purtroppo è morto.
I suoi dischi poi sono riusciti praticamente tutti, la sua musica vive in quella di altri artisti (Nu genea, Marco Castello, Fulminacci, gli stessi Colapesce e Dimartino), ma ancora non riesco a non pensare che non ha potuto godersi niente di tutto questo e mi chiedo se appunto non ci sia un modo per celebrare questi cult hero da vivi e non solo da scomparsi. Chissà.
Approfitto di questo spazio per dirvi che forse la terza stagione di Extra Podcast non si farà mai, ma nel frattempo è nato un nuovo podcast.
Con me c’è Daniele Manusia, direttore e fondatore de L’Ultimo Uomo, che oltre a essere un bravissimo scrittore è anche un mega-appassionato di musica.
Insieme abbiamo creato PVC che non è nient’altro che un appuntamento digitale con noi due che - una volta al mese - ci troviamo nel salotto di uno o dell’altro e ascoltiamo e commentiamo insieme i due dischi che abbiamo più amato proprio durante il mese appena trascorso. Non si tratta di dischi usciti in quel mese, anche se potrebbe pure capitare, ma proprio degli album che hanno monopolizzato i nostri ascolti. Per questa prima puntata io ho scelto “A Sufi and a Killer”, il primo album di Gonjasufi, pubblicato da Warp nel 2009, mentre Daniele ha parlato dell’uscita numero 21 della serie Ethiopiques. Emahoy (Piano Solo), ovvero la raccolta delle registrazioni solo piano di Tsegue-Maryam Guebrou (a proposito di musica struggente).
Non vi metto i link agli album perché mi piacerebbe che ci arrivasse dal podcast.
Qui trovate i link per ascoltarlo su Spreaker e Spotify (Apple Music arriverà fra qualche giorno):
ASCOLTA PVC SU SPREAKER
ASCOLTA PVC SU SPOTIFY
Fateci sapere se vi piace, e anche quali sono i vostri dischi del mese!
Vi metto qui anche l’ultima puntata di Hex Enduction Hour, il mio show per Radio Raheem, dove ho realizzato un piccolo tributo alla musica di New York raccontata nel bel documentario - e bellissimo libro - “Meet me in the Bathroom”.
Una celebrazione della scena cittadina nata nel post 11 settembre che io mi sono divertito a celebrare mettendo in campo anche chi quella scena l’aveva inconsapevolmente influenzata insieme a qualche deep cuts e dischi culto che si ballavano a NYC nei party dell’epoca.
Si ascolta qui!
Per una volta, non lo faccio mai, vi metto una specie di scaletta:
New York City Traffic Sound
Black Dice - Miles of Smiles
Vinay Kshirsagar - Ask Me Anything (Strokes cover)
Lou Reed/John Cale - Hello it’s me
Sonic Youth - Tunic (Song for Karen)
Liars - Pillars Were Hollow…
Yeah Yeah Yeahs! - Yeah New York
Turing Machine - Robotronic
Delia Gonzales & Gavin Russom - Rise (original mix)
The Juan McLean - By the Time I Get to Venus
Liquid Liquid - Scraper
LCD Soundsystem - Bye Bye Bayou (Alan Vega cover)
Bohannon - Take the Country to New York City
Ace Frehley - New York Groove
Alan Vega - Jukebox Baby
Museum of Love - Monotronic
Oneida - Black Chamber
The Moldy Peaches - Goodbye Song
Come vedete sto cercando di scrivere più spesso, anche se non sempre con cose super interessanti e boh, volevo sapere se vi piace questa nuova versione della newsletter o se devo tornare a scrivere solo di super-cazzi-miei.
A presto!
😭 scrivi più spesso grz
Leggendo l’aneddoto di Carella ho pianto sulla metro lilla